Siamo nell'epoca che segue la
rifondazione post-bellica, si vive tra i due blocchi, il terziario è
cresciuto notevolmente (nel 1956 negli Stati Uniti gli addetti a
questo settore superano i lavoratori dell'industri e dell'agricoltura
sommati assieme), l'uomo arriva sulla Luna. La società è diventata
di massa, ne conseguono nuove opportunità e nuovi problemi.
L'arte si interessa all'attualità,
volge lo sguardo al quotidiano, non più con l'occhio neorealista
dell'immediato dopoguerra, ma “pop”. L'artista riusa gli oggetti
popolari (ad esempio, un barattolo di zuppa) per sovvertire le regole
del gusto, esaltando a volte la loro bruttezza kitsch.
Gli architetti del tempo non rimangono
estranei al cambiamento. Per l'architettura inizia l'era
“anti-funzionalista”. In Gran Bretagna, nel 1961, nasce la
rivista “Archigram” che propone idee nuove usando la tecnica del
“collage”, ibridazione di generi: fumetto, pubblicità, cinema e
televisione. Rappresentano lo slancio ottimista delle nuove
possibilità della società contemporanea. In Giappone, i
Metabolisti, si concentrano sulle continue mutazioni delle metropoli.
Si esplorano nuovi temi e diversi approcci alle città e alle parti
che la compongono.
Si arriva quindi al vero “Big Bang”.
L'architettura perde il suo carattere disciplinare tradizionale per
lasciarsi influenzare e motivare dagli elementi più disparati. Può
essere attratta dalla scienze esatte o dalle discipline artistiche,
da ragionamenti economici o filosofici. La storia diventa un
importante attrattore, “della storia non si può fare a meno”, è
un campo di cui l'architetto deve tener conto e a cui attingere per
esprimere la loro eccentricità e singolarità. Viene negato il
metodo “tabula rasa” dei funzionalisti che ragionando in termini
industriali non avevano bisogno di un passato, tant'è che al Bauhaus
non si insegnava la storia dell'arte. Dalle analisi delle grandi
architetture del passato si desumono delle leggi con cui strutturare
nuovi progetti o con le quali dialogare.
Da questa dialettica emergono anche
delle esperienze personali, figure singolari che approfondiscono dei
loro concetti elaborando una loro personale architettura, è il caso
di Paolo Soleri e della sua “Arcologia” (architettura e ecologia)
o di Giovanni Michelucci. In questo contesto è importante lo studio
sul paesaggio metropolitano, del pittore Constant Nieuwenhuys con la
sua “New Babylon”.
Il problema maggiore emerso
dall'analisi dell'opera post-bellica è la pianificazione urbana. A
distanza di più di un decennio dalla costruzione dei nuovi quartieri
e delle periferie, sono evidenti i difetti degli interventi basati
sui i principi dei CIAM e della Carta di Atene. Le città pensate
come assemblaggio di macchine perfette, ossia le abitazioni
funzionaliste, non riescono a sopportare le esigenze di una società
in continua trasformazione. É proprio Constant che scrive sulle
città:
“La mancanza totale di soluzioni ludiche
nell'organizzazione della vita sociale impedisce all'urbanistica di
elevarsi al livello della creazione, e l'aspetto squallido e sterile
della maggior parte dei nuovi quartieri ne è un'atroce
testimonianza”.
Le città non possono più essere ragionate solo in termini
quantitativi, si deve progettare per l'Homo
Lundens
(dal titolo del libro di J. Huizinga), ossia l'uomo del tempo libero.
La prima critica alla Carta d'Atene è di non aver osato, i progetti
non erano abbastanza forti, non erano estremi. Si pensano quindi a
strutture d'impatto che si pongano in relazione/contrasto con il
paesaggio. Grandi edifici che prediligono il cemento armato di gusto
brutalista. Sono le cosiddette “magastrutture”. Organismi basati
sulla sezione a galleria o della gradinata, nascono gli streetdecks.
Le più famose sono: il Corviale di Roma (1972-79) , Forte Quezzi di
Genova (1956-68), Alexadra Road House di Londra (1968-72). Questo
estremismo risulta inefficace poiché il risultato è un totale
“scollamento” tra gli edifici e lo spazio urbano, ed inoltre
portano alla luce il fallimento di una logica industriale nei
confronti di situazioni complesse.
Ci
si interroga quindi su quale sia il modo di vivere nelle città, le
relazioni tra esistente e preesistente, quali siano le ricadute
psicosociali delle scelte progettuali. Smithson nel 1982, riassume
così questa riflessione:
“L'architettura
non offre semplicemente lo sondo per le relazioni esistenti, ma le
può creare. É una forza attiva della vita stessa. Non è più
sufficiente “ fare degli edifici”, dobbiamo crearli in modo tale
che diano significato allo spazio attorno ad essi nel contesto
dell'intera cominità”.
Si
progetta prendendo in considerazione molti parametri, come ad esempio
l'orografia, che Giancarlo de Carlo usa per il suo collegio
universitario di Urbino o il Siedlungen Halen a Berna dell'Atelier 5.
Si osserva il tessuto e quindi il contesto. Un edifici non viene più
considerato un vassoio su cui poggiare un volume puro. Si arriva al
concetto di “scena urbana” e alla definizione dello spazio
pubblico. Aldo Rossi scrive “l'architettura della città”, ogni
architettura è di per se stessa una prefigurazione di un fatto
urbano. Ogni architettura è forma indipendentemente dalla funzione.